Benvenuto Coronavirus!

 

Urlo_anima_Salvatore Malvasi

 

L’uomo che non ha una vita interiore

 è schiavo del suo ambiente.

(Henri Fréderic Amiel)

La foto riproduce il quadro “Urlo dell’anima” di Salvatore Malvasi

Benvenuto, coronavirus!

(estratto per future convivenze)

Ho pensato diverse volte se scrivere o meno su questo periodo di emergenza sanitaria, forse volto a una lenta fine, e tutte le volte ho abbandonato il proposito, sommerso da mille voci caotiche nei diversi ambiti, anche i più assurdi: dalla salute, all’economia, alla psicologia, alla filosofia.

Difficile trovare un aggettivo per definire tutto questo caos o  meglio un aggettivo ce l’avrei, ma in dialetto siciliano e pertanto non comprensibile a tutti: sdignatu.

Questo termine assomiglia allo sdegno (da cui probabilmente deriva) solo che, a differenza dell’italiano, in siciliano non è legato soltanto al rifiuto e al disprezzo per cose ritenute indegne.

Nello sdegno infatti c’è quasi sempre livore, astio, risentimento. Ciò può esserci anche nell’accezione siciliana, sebbene in un uso molto più raro e riferito ad un soggetto.

Il suo vero ambito invece è quello alimentare: un cibo diventa sdignusu (da notare che non lo è per sua natura ma lo può diventare) quando si esagera nel mangiarlo e il suo gusto diventa irritante, insopportabile.

Manca del tutto in questo caso l’astio, il livore: non se ne può più semplicemente perché se ne è abusato più del dovuto.

Diciamo che somiglia per certi versi all’espressione francese J’en ai marre: ne ho abbastanza, sono stufo o stanco, mi fa vomitare, basta.

Dunque, il mio sentimento e probabilmente quello di tante persone oggi, dopo poco più di un paio di mesi dall’inizio della pandemia e della quarantena, è esattamente questo. Continua a leggere

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Il suicidio dell’intellettuale

Chi non ha mai pensato che la figura dell’intellettuale non sia in crisi, magari da un bel po’ di tempo, alzi la mano.

E lo faccia anche chi non lo ha mai guardato con sospetto e forse addirittura con disprezzo, svalutandone il ruolo con sarcastici e irriverenti commenti sulla sua pedanteria e boriosità.

E se tutto ciò una volta probabilmente era da attribuire a un pizzico di invidia, oggi più che altro sembra essere dovuto al fatto che ha perso definitivamente autorità e carisma.

La verità tuttavia è un’altra e forse ancora più dolorosa (per tanti altri più piacevole):

l’intellettuale è morto, anzi più precisamente si è suicidato.

E’ morto soffocato dalla sua stessa arroganza, dalla sua protervia cieca, per la sfrontatezza con cui si è mischiato al suo pubblico, adattandosi e confondendosi alla massa, a cui ha dovuto alla fine soccombere.

C’è chi si ostina ingenuamente a considerarlo ancora vivo, seppure perdente, uno sconfitto, come Marcello Fois su L’Espresso[1] oppure come Tomàs Maldonado, come vedremo, ma si tratta solo di una speranza che rasenta la disperazione:

l’intellettuale oggi non ha solo perso ma si è prima trasformato in un clown e poi è morto, ridendo sarcasticamente di se stesso. Continua a leggere

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Charlie val bene una messa

copertina-charlie-hebdo-4Difficilmente questo blog si occupa di attualità, anzi credo di non averlo mai fatto fino ad ora.

Iniziare occupandomi adesso dei fatti francesi dei giorni scorsi (gli attentati di Parigi), nel pieno della sensibilità, delle emozioni e dello choc subìto, sembra dunque essere quasi una contraddizione.

Eppure, parlare di libertà di stampa o di opinioni oggi mi dà una strana sensazione di dejà-vu e, andando a rivedere gli articoli scritti, sono rimasto io stesso sorpreso di vedere come il primo articolo su Letture Critiche sia stato “Il liberalismo estremo di John Stuart Mill“, un breve pensiero sul libro Sulla libertà del pensatore britannico (che vi invito a leggere), da cui riprendo questa mia frase (un’auto-citazione di cui chiedo scusa ma che sto utilizzando solo perché è una estrema sintesi di un pensiero di John Stuart Mill), appunto attualissima:

Dice infatti Mill che se un’idea è vera allora evidentemente è giusto e socialmente auspicabile che possa o debba essere espressa (e profondamente dannoso non poterla esprimere). Ma, aggiunge, lo diventa ancora di più se quell’idea è malsana ed errata: in questo caso l’espressione permette, per confronto e contrasto, a un’idea giusta di avere l’occasione di emergere con la forza della sua validità intrinseca.Continua a leggere

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Il diario intimo di Oswald Spengler

Bacon-autoritratto

Oswald Spengler (1880-1936) è stato saggista tra i più famosi per diversi decenni (a partire dal 1918) come autore de Il tramonto dell’Occidente, per poi scomparire nell’anonimato o essere confinato nel mondo accademico.

Il tramonto continua ad avere un suo fascino ancora oggi, ma l’impressione tuttavia è che sia più citato che letto, non fosse altro per il corposo numero di pagine (più di cinquecento).

In Italia non ha giovato senz’altro la stroncatura di Benedetto Croce (non è un caso che da noi comparve solo nel 1957, grazie alla traduzione di Julius Evola) per il quale lo stesso successo del libro avrebbe dovuto impensierire “le sorti del lavoro scientifico” e per il quale Spengler non era nient’altro che “un dilettante”.

Una tesi ribadita da altri eccellenti pensatori del calibro di Karl Popper o Max Weber, sebbene abbiano riconosciuto in lui un certo ingegno, più letterario che scientifico. Dilettante o no, mattone o meno, ingegno o meno, uno dei prossimi libri che conto di compulsare (e non solo di spiluccare qua e là) sarà proprio Il tramonto dell’Occidente. Il motivo è semplice: attratto, come sono, dallo stile forse addirittura più che dai contenuti (più correttamente dovrei dire: dai contenuti che possiedono uno stile, perché la sostanza senza metodo è corpo senza abito) ho avuto modo, qualche mese fa, di apprezzare alcuni appunti autobiografici di Oswald Spengler pubblicati da Adelphi nel 1993 con il titolo A me stesso.

Si tratta di un piccolo scorcio sulla personalità complessa e forse “complessata” (Spengler risulta un perfetto soggetto da psicoanalizzare, del resto ebbe anche un esaurimento nervoso nel 1905) di un autore dalle grandi capacità aforistiche che confessa con onestà a se stesso di essere sempre stato “un aristocratico” e che si permetteva di asserire che “perfino Nietzsche era un’ovvietà, prima ancora che sapessi qualcosa di lui”. Continua a leggere

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Perché scrivere su Albert Camus

Albert_CamusLa rivista “Filosofia e nuovi sentieri” recentemente ha lanciato una nuova iniziativa editoriale, aperta a tutti: una “call for papers” su Albert Camus (1913-1960).

Se avete scritto o volete scrivere un articolo o un piccolo saggio inedito dedicato allo  scrittore-filosofo francese di origini algerina, c’è concretamente la possibilità che venga pubblicato in formato elettronico o cartaceo.

Per chi ama la scrittura o la lettura è davvero un’ottima occasione.

Chi conosce già Albert Camus potrà analizzare qualche particolare aspetto del suo pensiero filosofico e/o letterario, mentre chi non lo conosce potrà sfruttare l’occasione per iniziare a farlo (qui il mio piccolo contributo).

Sono convinto che la lettura o la rilettura di Camus non lascerà indifferenti nessuno e, a sostegno di ciò, riporto brevemente un’episodio che il quotidiano La Repubblica ha recentemente pubblicato (il 03/01/2014), facilmente rintracciabile in rete.

Albert Camus era in visita negli Stati Uniti ed era sorvegliato dall’FBI, anche perché sospettato di essere comunista (lo fu realmente).
L’agente fu letteralmente affascinato dalla sua straordinaria personalità, tanto da scrivere nel dossier relativo:  «Camus è un uomo libero» e, dovendone sintetizzare il pensiero, aggiunse:
«Riconoscendo l’assurdità dell’esistenza umana, generata dal conflitto tra l’eterna aspirazione a una spiegazione logica dell’universo e l’irrazionalità assoluta dell’esistenza, egli invita gli uomini a vivere con piena lucidità nell’assurdo, a godere pienamente di una vita priva di senso e ad approfittare al massimo della libertà qui e adesso, dato che non esiste la libertà eterna».

L’autore della Peste propone dunque «una rivolta permanente contro l’assurdità della vita», convinto che «l’uomo assurdo è tanto più libero in quanto non rifiuta nulla, restando dolorosamente lucido di fronte all’irrazionalità dell’esistenza ».

Per l’agente dell’Fbi, la filosofia di Camus poggia «su un umanesimo nobile, coraggioso, ma radicalmente ateo», mentre la sua opera esprime «una disperazione profonda, non una disperazione facile e adolescente, ma l’angoscia di vedere l’uomo straniero, solo e smarrito in un mondo assurdo».

Una sintesi straordinaria del pensiero di Albert Camus.

Teoricamente c‘è tempo fino al 31 maggio 2014 ma è bene mettersi subito all’opera, dando sfogo alla propria creatività.

A lavoro, dunque.

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http://filosofiaenuovisentieri.it/call-for-papers/

CALL FOR PAPERS: “ALBERT CAMUS” [01/2014]

Albert Camus: l’eredità di un pensatore scomodo deve trascendere le solennità del centenario della nascita.

http://it.wikipedia.org/wiki/Albert_Camus

In previsione di una futura pubblicazione miscellanea, accogliamo approfondimenti, saggi o monografie, purché inediti, sul percorso filosofico e letterario di Albert Camus.

La pubblicazione avverrà a cura e discrezione della rivista “Filosofia e nuovi sentieri” in formato libro elettronico (e-book) e con l’eventuale realizzazione di un’antologia cartacea nella quale saranno raccolte le opere giudicate più meritevoli dalla Redazione.

Il testo non prevede limiti di lunghezza e potrà subire modifiche di editing, a discrezione della Redazione, per garantire uniformità delle norme redazionali.

Gli autori cedono il diritto di pubblicazione, senza nulla pretendere come diritto d’autore, alla rivista “Filosofia e nuovi sentieri“, che potrà pertanto divulgarla a sua discrezione. I diritti rimangono comunque di proprietà dei singoli Autori.

I dati personali saranno trattati solo ed esclusivamente per finalità inerente al presente CFP, secondo quanto previsto dal D. Lgs. 196/2003 (Privacy).

Termine di presentazione: 31 maggio 2014.

Come spedire i contributi:

Tramite e-mail:

– Indirizzo: filosofiaenuovisentieri@gmail.com

– Contenuto:

a) allegato dell’opera in formato Word oppure OpenOffice
b) generalità (Nome, Cognome, Data di nascita, Residenza, Brevi note biografiche che saranno inserite nella pubblicazione)
c) auto-dichiarazione (leggere, copiare e incollare):
«Dichiaro che l’opera allegata è originale e inedita, che non è stata presentata a nessun altro concorso o simile iniziativa, anche in attesa di risoluzione. Si manleva pertanto la rivista “Filosofia e nuovi sentieri” da qualsiasi danno o pretesa, nessuna eccettuata, che alla stessa possa derivare, anche per quanto riguarda il titolo dell’opera».

– A tutte le e-mail pervenute farà seguito un messaggio di avvenuta ricezione.

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Camus e il mito di Sisifo

Mito Sisifo_Camus
Articolo apparso su Critica letteraria il 12/11/2013:
Il mito di Sisifo

di Albert Camus

Ed. Bompiani, 2012
Prima Edizione, 1942
pp. 176
cartaceo € 9
A cento anni dalla nascita, avvenuta il 7 novembre a Mondovi in Algeria, odierna Dréan (nei pressi di Annaba) le commemorazioni di Albert Camus si sprecano in tutto il mondo, coinvolgendo perfino la Uefa, essendo stato in gioventù, nonostante i problemi di salute, portiere del “Racing Universitaire d’Alger all’inizio degli anni ’30” (dirà Camus a proposito “Tutto quello che so sulla moralità e sugli obblighi degli uomini lo devo al calcio”).
Quotidiani e riviste si sono affrettati, sfruttando l’onda di una sempre maggiore fama e consenso attorno all’autore, a pubblicare monografie e numeri speciali (tra le più interessanti quelli di “Le Point” e “Philosophie Magazine”). Google in Francia (Google.fr) gli ha dedicato perfino undoodle ovvero uno dei quotidiani loghi utilizzati per commemorare eventi mondiali particolarmente significativi.
In Italia, “Micromega”, la nota rivista culturale, ha offerto un ebook gratuito dal titolo “Camus filosofo dell’avvenire“, dove è possibile leggere l’intervista della figlia Catherine (“Mio padre, solitarie, solidaire“) e il saggio di Paolo Flores d’Arcais su “Albert Camus filosofo del finito“.
Inoltre, da segnalare in mezzo a diverse iniziative, un’expo documentaria presso la Biblioteca Nazionale di Potenza e diverse rappresentazioni teatrali (ricordiamo che Camus scrisse alcuni importanti testi per il teatro, tra cui Caligola).
Scrittori come André Brink, Yasmina Khadra e perfino il premio Nobel Imre Kertész hanno ammesso di essersi ispirati alla sua opera; filosofi del calibro di Michel Onfray e Alain Finkielkraut hanno voluto omaggiarlo dedicandogli dei saggi.
Albert Camus dunque oggi sempre più osannato da intellettuali o da semplici lettori.
Eppure non è sempre stato così, in vita per esempio è stato osteggiato (“solitario” lo definisce appunto la figlia Catherine, nonostante avesse alcuni amici intellettuali di una certa fama come René Char o Louis Guilloux) dal milieu parigino che probabilmente non l’aveva mai accettato veramente a causa delle sue umili origini.
Le polemiche maggiori sono nate proprio per le commemorazioni, in particolare in Francia e in Algeria.
Per il cinquantenario della sua morte, nel 2010, l’Algeria rifiutò e osteggiò la sua celebrazione, nonostante il sollecito di alcuni intellettuali francesi; in Francia la mostra ad Aix-en-Provence (nelle vicinanze della casa che comprò con i soldi del premio Nobel a Lourmarin), che la figlia Catherine avrebbe voluto dedicargli, fu duramente ostacolata dall’amministrazione locale appartenente alla Destra (Camus per un periodo fu comunista e antinazista ma fu anche antisovietico; politicamente si può considerarlo come socialista anarchico, ammiratore di Bakunin).
Per non dire le altre e più aspre polemiche per il corrente centenario della nascita, tanto che l’ostracismo e le pressioni subite (anche politiche) hanno costretto il filosofo francese Michel Onfray, padrino di quella che doveva essere una (pomposa?) commemorazione nazionale, a rinunciare clamorosamente.
Albert Camus divide ancora oggi, almeno in Algeria e in Francia.
Come mai tanta ambivalenza? Cosa c’è dietro tali atteggiamenti, insoliti nel campo della cultura?
Camus in Algeria è considerato non solo uno “straniero” ma un traditore.
Tutto nasce dalla lotta per l’indipendenza algerina, dal 1954 in poi. Gli algerini riuscirono a liberarsi dal lungo colonialismo francese soltanto nel 1962, quando De Gaulle riconobbe finalmente l’indipendenza. Ipieds-noirs ovvero i francesi che per generazioni erano vissuti in Algeria, furono costretti così a ritornare nella madrepatria colonizzatrice, abbandonando terra, case, possedimenti, averi.
Un milione e mezzo di francesi-algerini abbandonò quanto di più caro aveva accumulato, per ritornarsene in Francia, una patria straniera, che non li accolse affatto con benevolenza, soprattutto la Sinistra politica (amara e famosa l’accoglienza di Marsiglia, dove il sindaco di sinistra, li invitava ad andare altrove) perché erano considerati colonialisti e perfino razzisti, di destra.
Camus rifiutò di sostenere gli insorti a favore dell’indipendenza algerina.
La giustificazione è semplice e fa parte dell’essenza del pensiero di Camus: alla dottrina, all’ideologia deve sempre prevalere l’uomo (concetto che poi sarà la base delle divergenze di idee, fino alla rottura dell’amicizia, con Jean-Paul Sartre, padre dell’esistenzialismo).
In questo caso specifico, Camus aveva avuto parole dure contro la politica repressiva dell’amministrazione coloniale francese da un lato e dall’altro contro l’eccesso terroristico del FNL algerino, così da attirarsi le ire di entrambi i fronti.
Preferiva una soluzione che implicasse la convivenza tra arabi e pieds-noirs, fallendo però politicamente perché la miseria umana e gli odi atavici non lo avrebbero mai permesso.
In generale, Camus di fronte alla visione di un’Algeria in guerra preferiva quella dell’infanzia delle spiagge sabbiose e del “sole invincibile”, sempre presente nelle sue opere.
Il filosofo francese Michel Onfray (non a caso come Camus di umili origini) che ha scritto nel 2012 un libro sul Nostro (“ L’Ordre libertaire. La vie philosophique d’Albert Camus”, Flammarion, da pochissimo tradotto da Ponte delle Grazie (clicca qui) afferma che:

“Camus incarna la tradizione del pensiero libero, indipendente, autonomo, padrone di sé, un uomo che non dipende dalla tribù, che non si costruisce guardandosi nello specchio della storia, che non deve niente a nessuno, che si è costruito da solo, senza i vantaggi degli ascensori tribali parigini” (estratto dall’intervista di Aliocha Wald Lasowki a Michel Onfray pubblicata sul n. 520 di giugno 2012 dal Magazine Littéraire, tradotto da Paolo Mantioni il 18/08/2012 per Critica Letteraria: lo leggi qui).

A parte diversi romanzi di successo ormai mondiale (negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Giappone in primis) come Lo straniero e La peste, Camus è riconosciuto anche come filosofo, seppure non sistematico, per due saggi, Il mito di Sisifo e L’uomo in rivolta.
Il primo – che ebbe un certo successo nell’ambiente intellettuale parigino – (scritto nel 1942) secondo André Comte-Sponville, è paragonabile, se non superiore, alla “Critica della ragione pura” di Emmanuel Kant.
Indipendentemente da questi giudizi soggettivi di difficile se non incomprensibile validità, Il mito di Sisifoè sicuramente un saggio filosofico atipico, con uno stile molto denso, a tratti aforistico e pieno di rimandi o citazioni (rigorosamente senza fonte bibliografica: quando conta la sostanza, la formalità passa in secondo piano).
L’incipit è stilisticamente fulminante: il solo vero problema filosofico è il suicidio, cioè “giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta” (pag.7). Tutto il resto viene dopo.
E’ un gioco mortale, avverte, perché “cominciare a pensare è cominciare ad essere minati” (pag.8); un gioco che “conduce dalla lucidità di fronte all’esistenza all’evasione fuori della luce”.
Tra negare un senso alla vita e dichiarare che non valga la pena di vivere tuttavia non c’è una vera e propria alternativa. Capita spesso infatti che chi si suicida abbia una opinione sicura sul senso della vita.
In questo divorzio tra l’uomo e la vita c’è ciò che Camus chiama il senso dell’assurdo, “il confronto dell’uomo con la propria oscurità”.
Il suicidio è un’ammissione: “uccidersi è confessare: confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa” (pag. 9).
Se la vita non è un passaggio verso altro, non è un mezzo per raggiungere uno scopo, allora non può che essere ancora più densa e piena (un atteggiamento che lo pone tra gli esistenzialisti atei, in una posizione molto vicina a quella di Jean-Paul Sartre).
Con Aristotele, Montaigne e Spinoza, Camus conclude che l’esistenza in fondo è degna di essere vissuta.
La lucidità – questo concetto che stava a cuore a un altro parigino d’importazione, contemporaneo di Camus, Emil Cioran – è la radice dell’assurdo.

“Dopo il risveglio”, dice Camus, “viene, col tempo, la conseguenza: suicidio o ristabilimento”. Viviamo in una continuità quotidiana ripetitiva e alienante, dove ci alziamo la mattina, prendiamo il tram, ritorniamo la sera, poi all’improvviso, arriva un momento di lucidità e tutto cambia e “comincia in una stanchezza colorata di stupore” (pag.16).

Del resto, del mito di Sisifo – costretto a trasportare un macigno per poi vederlo rotolare giù e riprenderlo nuovamente e infinitamente – a Camus interessa la ridiscesa “verso il tormento”: “se questo mito è tragico è perché il suo eroe è cosciente”.
Nel suo cammino – che è il cammino di tutti gli uomini – vi è un destino personale, fatto di dolore ma anche di gioia perché “non v’è sole senza ombra, e bisogna conoscere la notte”. Il concetto del Sisifo felice (“bisogna immaginare Sisifo felice”) conclusivo del saggio è emblematico e sarà poi sviluppato sia nel romanzo La peste sia nel L’uomo in rivolta.
Una via di fuga diventa il domani ovvero il fare affidamento al divenire, ma non basta perché il mondo ci sfugge e la nausea che ne proviamo è esattamente il senso dell’assurdo.
La solidarietà e la collaborazione tra gli uomini – come quella che elargirà Bernard Rieux, medico della città di Orano, infestata dalla peste – è la rivolta che dà essenza all’uomo (“mi rivolto dunque noi siamo”, scrive parafrasando il celebre motto di Cartesio).
Tutto ci dice che il mondo è assurdo, “la nostra intelligenza e anche il suo contrario, la ragione cieca”. Camus vorrebbe che fosse tutto chiaro ma così non è, non può essere, anzi il senso dell’assurdo è proprio questa contrapposizione tra l’irrazionalità con il desiderio di chiarezza: “Finché lo spirito tace nel mondo immobile delle proprie speranze, tutto si riflette e prende posto nell’unità della sua nostalgia; ma al primo movimento, tale mondo si fende e rovina: infiniti, lucidi lampeggiamenti si offrono alla conoscenza” (pag.21).
Il tema dell’assurdo Camus lo riscontra anche in diversi autori dal pensiero irrazionale e religioso (“come non sentire la profonda parentela di questi spiriti?”) quali Jaspers, Heidegger, Kiekergaard, Chestov, Husserl, Scheler.
Tutti concordano che in fondo “nulla è chiaro, che tutto è caos” e che “l’assurdo nasce dal confronto fra il richiamo umano e il silenzio irragionevole del mondo” (pag.28) cioè da una lotta tra ciò che siamo e il non-senso del mondo: “il divorzio fra lo spirito che desidera e il mondo che delude”, una nostalgia dell’unità impossibile.
Tuttavia ognuno cerca una fuga o una soluzione da questo assurdo.
Per Chestov, l’assurdo nasce dall’impossibilità della ragione di spiegare tutto: là dove la ragione è vana nasce Dio come possibile soluzione. L’assurdo cioè per Chestov è anche accettazione dello stesso (mentre, dice Camus – che era un ateo – per uno spirito veramente assurdo, dietro la ragione non vi è nulla). Kierkegaard invece non si ferma a questa accettazione dell’assurdo ma “fa il salto”, vuole guarire ovvero salvarsi.
Anche il teatro (e gli attori), l’arte e il romanzo non rappresentano dei rimedi all’assurdo ma sono essi stessi fenomeni dell’assurdo.
Conclude allora Camus: l’assurdo non va superato, ma affrontato attivamente.
L’attenzione è quindi posta verso l’uomo nuovo, solidale e disincantato: non a caso nel saggio c’è attenzione, quasi ammirazione, verso la tesi di uno dei personaggi più controversi delle opere di Dostoevskji, Kirillov, protagonista de I Demoni: “A chi sarà indifferente vivere o non vivere, quello sarà l’uomo nuovo!” che ammette il suicidio logico, lucido:
“Se Dio esiste, tutto dipende da lui […] se non esiste tutto dipende da noi. Per Kirillov, come per Nietzsche, uccidere Dio è divenire dio”.
La libertà e l’arbitrio, non ammettendo dio, risiedono nell’assurdo.
Le conseguenze che Camus trae da ciò sono quindi “la rivolta, la libertà e la passione” e tutto ciò porta a un rifiuto netto ma comunque sofferto o mai scontato del suicidio.
Essere liberi dal domani, non avere speranze o obiettivi non porta per Camus alla disperazione, anzi per lui bisogna bruciare l’esistenza: non è un caso che dedica un intero capitolo a Don Giovanni che fa della seduzione, per il solo fatto dell’esserne cosciente, un assurdo, mettendo in scena “un’etica della quantità”.
L’assurdità, di cui aveva tanto riflettuto e scritto, si tradurrà drammaticamente, per uno straordinario caso del destino, anche nella sua fine: con una Facel-Vega, un’auto sportiva, assieme a Michel Gallimard (nipote del celebre editore), si schianterà contro un albero nel 1960; in tasca aveva (la figlia Catherine ha confermato l’episodio) un biglietto ferroviario, probabilmente un cambiamento inatteso e improvviso che pose tragicamente fine alla sua esistenza.
Albert Camus scriveva sui suoi Taccuini: “Chiedo una cosa sola, ed è una richiesta umile, benché io sappia che è esorbitante: esser letto con attenzione”.
La lettura di Camus, quella dei saggi in particolare, non è una lettura scorrevole.
Non perché siano argomenti di difficile comprensione ma solo perché costringe a riflettere, a fermarsi, a rileggere.
La lettura di Camus è lo specchio di ciò che era il suo pensiero: qualcosa di denso e filosofico.
“Esser letto con attenzione” è quindi il minimo che poteva chiedere, umilmente e disperatamente, al mondo.
Giuseppe Savarino
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Il moderno capitalismo e la sua cultura

immagineJeremy Rifkin è un economista conosciuto per aver teorizzato provocatoriamente ma dettagliatamente la fine del lavoro di massa con conseguente miglioramento della qualità di vita e liberazione da una millenaria schiavitù.

Parlarne oggi, nel pieno della crisi economica europea (disoccupazione media nell’area euro EA17 al 12.2% a maggio 2013, curiosamente stesso dato dell’Italia, e GDP- conosciuto come PIL- a -2.4% nel 2012 rispetto all’anno precedente) sembra quasi essere una discussione surreale.
In realtà, il problema esiste, non tanto nei suoi termini estremi (il lavoro finirà oppure continuerà sempre a esistere?) ma nelle sue sfaccettature intermedie (sarà soggetto o no a una sempre maggiore se non ineludibile flessibilità e precarietà?). Continua a leggere

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La shibboleth siciliana e il potere della parola

Vespri sicilianiLa Sicilia è terra antica e piena di contraddizioni.

Chiunque abbia un minimo di interesse archeologico, storico o letterario, non può non subirne ancora oggi l’indiscusso fascino dovuto non solo alla sua cruciale importanza per la storia del Mediterraneo (e quindi per la storia europea) ma dovuto anche all’estrema eterogeneità delle origini e alla varietà delle numerose civiltà che si sono avvicendate nel corso della sua millenaria storia.

Perfino percorrendo a ritroso questa storia, dall’autonomia come Regione dello Stato italiano a statuto speciale, al periodo borbonico, austriaco, spagnolo-aragonese, francese-angioino, svevo, normanno, islamico, bizantino, romano, fenicio e greco, non possiamo trascurare – e qui siamo davvero alle origini – la suddivisione, poco conosciuta perfino dai siciliani stessi, tra elimi, sicani e siculi. Continua a leggere

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La Speranza, tra Morin e Hessel

Hessel_MorinEdgar Morin e Stéphane Hessel non hanno bisogno di presentazioni.

Almeno credo…visto che uno degli articoli più letti di Letture Critiche è proprio quello scritto su Edgar Morin, mentre Hessel ha avuto un enorme successo (si parla di quattro milioni di copie in tutto il mondo) con un pamphlet di trenta pagine dal titolo evocativo “Indignatevi!” pubblicato nel 2011, quindi qualche mese prima di morire (febbraio 2013) alla rispettabile età di 95 anni.

Due personaggi straordinari, Morin e Hessel, con diverse affinità: quasi coetanei (rispettivamente classe 1921 e 1917) hanno praticamente attraversato la Storia, più che la vita. Continua a leggere

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Giorgio Colli e l’insolita enciclopedia

Enciclopedia-Giorgio ColliDiscussioni su cosa si intenda per “autore classico” o “opera classica” ce ne sono in abbondanza (alcune divenute a loro volta dei classici, come il famoso “Perché leggere i classici” di Italo Calvino che ci ha regalato probabilmente una delle definizioni più affascinanti sull’argomento: “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire“) e non aggiungerò di certo la mia, per non moltiplicare inutili ovvietà, pur essendo queste assai di moda.

Tuttavia, pur se in una galassia separata, si inserisce in questo dibattito il libro “Per una enciclopedia di autori classici” di Giorgio Colli (1917-1979).

Non si tratta di un vero e proprio libro, nel senso che è la raccolta di alcune prefazioni scritte da Colli per la collana della Boringhieri, Enciclopedia di autori classici, che diresse dal 1958 al 1965  e composta da 90 opere. Continua a leggere

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L’Homo Bulla di La Mettrie

homo bulla-grotziusQuis evadet?”, chi può sfuggire? Così recita l’epigrafe di un famoso quadro di Goltzius (qui accanto riprodotto) che raffigura un putto appoggiato a un teschio che, un po’ mestamente, fa le bolle; gioco che tutti abbiamo sperimentato nella nostra infanzia.

Chi può sfuggire alla morte, al nostro destino di durare quanto una bolla di sapone?

L’Homo Bulla è un’immagine ricorrente nell’arte e in diversi autori: affascina perché c’è leggerezza, precarietà, inconsapevolezza dell’effimero: Continua a leggere

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Il progetto uomo di Arnold Gehlen

Mario Sironi- Il viandanteArticolo pubblicato in data 06 luglio 2013 sulla rivista “Filosofia e nuovi sentieri/ISSN 2282-5711”.

Link:http://filosofiaenuovisentieri.it/2013/07/06/arnold-gehlen/

Il progetto uomo di Arnold Gehlen

> di Giuseppe Savarino

Non si può parlare di Arnold Gehlen (1904-1976) senza fare riferimento a J.G. Herder (1744-1803) da un lato e Max Scheler (1874-1928) dall’altro.

Il primo fu allievo di Kant all’Università di Königsberg, contemporaneo di Diderot e D’Alembert, nazionalista, anti-illuminista (più esattamente anti-enciclopedista) ma nonostante ciò massone umanista sui generis.
Un personaggio singolare, insomma.
Herder sottolineò, forse il primo a farlo, un fondamentale aspetto della natura umana:  l’uomo è stato in grado di compensare un’evidente e quasi inquietante debolezza biologica e carenza fisica con delle capacità razionali e linguistiche (un proto-Wittgenstein?). Continua a leggere

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