Difficilmente questo blog si occupa di attualità, anzi credo di non averlo mai fatto fino ad ora.
Iniziare occupandomi adesso dei fatti francesi dei giorni scorsi (gli attentati di Parigi), nel pieno della sensibilità, delle emozioni e dello choc subìto, sembra dunque essere quasi una contraddizione.
Eppure, parlare di libertà di stampa o di opinioni oggi mi dà una strana sensazione di dejà-vu e, andando a rivedere gli articoli scritti, sono rimasto io stesso sorpreso di vedere come il primo articolo su Letture Critiche sia stato “Il liberalismo estremo di John Stuart Mill“, un breve pensiero sul libro Sulla libertà del pensatore britannico (che vi invito a leggere), da cui riprendo questa mia frase (un’auto-citazione di cui chiedo scusa ma che sto utilizzando solo perché è una estrema sintesi di un pensiero di John Stuart Mill), appunto attualissima:
“Dice infatti Mill che se un’idea è vera allora evidentemente è giusto e socialmente auspicabile che possa o debba essere espressa (e profondamente dannoso non poterla esprimere). Ma, aggiunge, lo diventa ancora di più se quell’idea è malsana ed errata: in questo caso l’espressione permette, per confronto e contrasto, a un’idea giusta di avere l’occasione di emergere con la forza della sua validità intrinseca.“
La barbara e vigliacca esecuzione della redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e le stragi collegate mettono in evidenza proprio questo aspetto dell’espressione del pensiero.
Essendo ateo, lascio da parte ogni altra considerazione sul danno o meno delle religioni, perché probabilmente fuori luogo, seppure non del tutto.
Le vignette di Charlie Hebdo erano probabilmente “malsane ed errate”; gli stessi redattori nei primi anni di vita – quando ancora si chiamava infaustamente Hara-Kiri (il famoso suicidio rituale dei samurai giapponesi – lo definirono “journal bête et méchant” cioè giornale stupido e cattivo e perfino in tempi più recenti si gongolava di essere un “journal irresponsable”.
Oltre ad essere dissacrante, irriverente, caustico così come la stampa oggi lo definisce, è stato perfino fastidioso, rozzo, volgare, tanto da poter “disturbare” tantissimi di quelli che oggi sventolano orgogliosamente i vari “Je suis Charlie“, se avessero veramente l’occasione e la curiosità di leggere il giornale satirico.
Eppure il punto centrale che forse oggi hanno colto tanti personaggi politici e religiosi nonché le cosiddette “persone comuni” di tutto il mondo (almeno spero che sia stato questo il messaggio percepito) è la lezione ottocentesca di John Stuart Mill, capace di dirci che, nonostante tutto, c’è un valore che si chiama “rispetto” che è alla base della tolleranza, quella tolleranza che troppe ideologie tendono a dimenticare.
Non c’è idea, fede, valore che possa mai essere superiore alla vita di un uomo; non si può uccidere per far tacere un pensiero, fosse anche il più nefasto e dissacrante del mondo, anzi non si dovrebbe nemmeno – come ci insegna l’Illuminismo, sviluppatosi e non a caso proprio nella Francia ferita ma orgogliosa di oggi – far tacere un pensiero punto e basta. Fosse anche il più orribile che possa mai essere stato concepito.
La tolleranza deve avere la forza di non essere se stessa con gli intolleranti, come sosteneva acutamente Karl Popper, riferendosi a sua volta a Voltaire:
“Il titolo della mia lezione “Tolleranza e responsabilità intellettuale” allude ad una tesi di Voltaire, il padre dell’Illuminismo, un argomento a favore della tolleranza. Voltaire si chiede: “Che cos’è la tolleranza?” e risponde (traduco liberamente): La Tolleranza è la necessaria conseguenza della comprensione della nostra imperfezione umana. Errare è umano e a noi questo capita continuamente. Perciò perdoniamoci gli uni gli altri le nostre follie. Questo è il primo principio del diritto naturale”. Qui Voltaire fa appello alla nostra onestà intellettuale: noi dobbiamo ammettere i nostri errori, la nostra imperfezione, la nostra ignoranza. Voltaire conosce benissimo che i fanatici esistono. Ma la loro convinzione è veramente onesta? Hanno essi onestamente esaminato se stessi, ciò in cui credono e le ragioni per sostenere ciò di cui sono convinti? E non è l’attitudine all’autocritica una parte dell’onestà intellettuale? E non ha il fanatismo spesso cercato di negare la nostra non ammessa incredulità, che abbiamo represso, e talvolta ne siamo solo parzialmente consci? Voltaire si appella alla nostra modestia intellettuale; e soprattutto il suo appello alla nostra onestà intellettuale fece una grande impressione sugli intellettuali del suo tempo. Mi piacerebbe riaffermare qui il suo appello. La motivazione data da Voltaire in favore della tolleranza è che noi dobbiamo perdonarci gli uni gli altri le nostre follie. Ma una follia comune come quella della intolleranza Voltaire trova giusto che sia difficile da tollerare. Invero è qui che la tolleranza ha i suoi limiti. Se noi concediamo all’intolleranza il diritto di essere tollerata, allora noi distruggiamo la tolleranza, e lo stato di diritto.“ K. R. Popper, In search of a better World [Alla ricerca di un mondo migliore], Rodledge, London-New York, 1992, pagg. 190-191 [trad. di G. Zappitello]
Se non si è convinti di ciò, non si è affatto Charlie, non si può comprendere appieno ciò che significa essere dalla parte delle vittime, anche quando si è infastiditi dal modo in cui queste trattano religioni e opinioni. E questo perfino quando diffondono calunnie, diffamazioni, denigrazioni, discredito; perfino quando superano la decenza, perfino quando ridicolizzano con falsità o insinuazioni.
In questo senso, sostenere come fanno alcuni (tanti) che chi provoca in questa maniera o non ha capito che non si scherza con il fuoco o ha sbagliato i suoi calcoli o se l’è meritato, non ha compreso appieno il coraggio di chi, nonostante le serie minacce precedenti (nel 2011 la sede di Charlie Hebdo era stata bruciata) non era disposto a cedere minimamente la propria libertà di dire, anche in maniera sguaiata o perfino divertita, quello che pensava.
Il recinto in cui il disprezzo e l’odio (sentimenti perfettamente leciti) si possono o meglio si debbano raccogliere e limitare è il rispetto per l’altro e l’utilizzo legittimo di una legge rispettosa dell’uomo.
Tutto il resto è barbarie.
POST SCRIPTUM
Si dice che Enrico di Navarra, pur di conquistare Parigi e il regno (nella lotta con gli altri due “Enrichi”) pronunciò la frase storica “Parigi val bene una messa”, rinunciando alla propria fede protestante per diventare cattolico. Una frase che può essere utilizzata per significare il sacrificarsi per poter ottenere uno scopo più alto. Come hanno fatto appunto i giornalisti e i disegnatori di Charlie Hebdo che, pur di non rinunciare alla propria libertà, hanno sacrificato, con un coraggio davvero di altra epoca, alla propria vita.
Spero solo che non l’abbiano fatto invano.
Oui, moi aussi je suis Charlie o meglio ancora:
j’était, je suis et je serai toujours Charlie.