Elias Canetti e il potere della massa

Quando fu pubblicato “Massa e potere”, Elias Canetti (1905-1994) aveva cinquantacinque anni – un’età rispettabile – eppure ancora quasi sconosciuto ai più.
Ancora oggi, nonostante il premio Nobel per la Letteratura ricevuto nel 1980 (“per opere contraddistinte dalla visione ampia, dalla ricchezza di idee e dalla potenza artistica”), non possiamo sicuramente ritenerlo un autore soggetto ad attenta lettura critica come meriterebbe.
La ragione di ciò è quasi un mistero, tipico dell’eterogeneo e farraginoso mondo editoriale, che preferisce obnubilare anche il lettore più esperto con il fumo di insulse ma più profittevoli proposte.
O forse la causa è da ricercare nella difficoltà oggettiva di inquadrare Canetti in un movimento, in una corrente o qualsivoglia classificazione letteraria.
“Massa e potere” è sicuramente un’opera che non aiuta in tal senso ed è probabilmente un unicum nel mondo culturale.
Alla sua stesura Elias Canetti dedicò quasi un’intera vita, pur essendo frutto di una sorta di illuminazione:
[…] mi balenò improvvisamente l’idea che esistesse una pulsione di massa in perpetuo contrasto con la pulsione della personalità e che tutto il corso della storia umana potesse essere spiegato mediante il conflitto fra queste due pulsioni” (“Il frutto del fuoco”).
La si può considerare un’opera di un sociologo ma anche di un antropologo (da tavolino…visto che è fondata più su osservazioni personali che da viaggi)  e sicuramente è anche un’opera psicologica, per esempio quando parla della schizofrenia come “frammento spezzato della massa” dovuto alle “spine” inflitte dal comando, ma anche quando affronta il tema della melanconia, del delirio, dell’isterismo, della paranoia e così via.
L’analisi di Canetti si sofferma da un lato sugli aspetti e sugli organi del potere (l’afferrare, il mangiare, lo stare seduto ma anche le mani, i denti, ecc.) che tradiscono spesso atteggiamenti di prevaricazione e conflittualità e dall’altro lato sul mito.
La sua analisi delle masse si distingue sia da quella di Gustave Le Bon , autore de “La psicologia delle folle” del 1895, primo studioso del fenomeno e per inciso libro amato da Mussolini (la versione integrale si trova in rete a questo indirizzo http://cronologia.leonardo.it/lebon/indice.htm) e sia da quella del Sigmund Freud autore di “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”.
L’analisi di Canetti, in effetti, è un’analisi dall’interno, di chi ha vissuto il fenomeno e vuole descriverlo.
L’istinto alla sopravvivenza è alla base dei comportamenti di potere: il potente è soltanto chi desidera, più di ogni altra cosa, sopravvivere ai propri simili (istinto di sopravvivenza che in misura minore si ritrova in tutti gli uomini).
L’attenzione al mito, che lo avvicina a Claude Lévi-Strauss, non deve però ingannare: Canetti osserva il singolo mito e lo decodifica secondo le sue particolarità, lontano quindi dallo strutturalismo antropologico di Lévi-Strauss.
Tra le numerose tematiche affrontate da Elias Canetti, ebreo sefardita nato in Bulgaria (ma vissuto tra Svizzera, Germania, Austria e Inghilterra) ci sono da menzionare quantomeno l’incomunicabilità umana, l’importanza dei miti, e appunto i rapporti tra massa e potere.
Artista poliedrico, Canetti ha scritto alcune opere teatrali (“Nozze”, “Commedia della vanità”, “Vite a scadenza”), romanzi (in particolare Die Blendung, in italiano “l’accecamento”, ma tradotto con “Auto da fè”, come in Francia e Inghilterra), saggistica (“Massa e potere”, già citato), monografie (su tutte quella su Karl Kraus) autobiografie (la triade de “La lingua salvata”, Il frutto del fuoco”, “Il gioco degli occhi”).
Ciò però che lo qualifica maggiormente è senz’altro il rapporto con la morte, avvertita come nemico per eccellenza da sconfiggere tramite la letteratura (“ha insegnato a rispettare ogni vita e a proteggerla contro la morte”, scriverà, in un articolo sul Corriere della Sera il 19/07/2005, Claudio Magris).
Una contraddizione di fondo visto il tema principe dell’incomunicabilità (ad esempio in “Auto da fè”), che denota l’incapacità della parola di “rendere comune” la propria esperienza esistenziale, ma che diventa centrale come momento di superamento dell’orrore della morte.
Nelle commedie teatrali di Canetti tutto ruota attorno a un’idea centrale, spesso sorprendentemente originale.
In “Commedia della vanità”, ad esempio, l’idea di fondo è la proibizione in una società imprecisata, dell’uso degli specchi, fotografie e ritratti, pena il carcere o la morte, per “ovviare al dilagare della vanità in tutti i settori”. Tuttavia la proibizione otterrà l’effetto opposto per il fascino del proibito (ci saranno pure le “case di tolleranza dell’immagine” dove i fruitori saranno disposti a pagare per poter avere la possibilità di contemplarsi).
Nei romanzi di Canetti i personaggi rimangono sempre uguali, protesi narcisisticamente solo verso se stessi o impegnati a imporre la loro parziale visione del mondo, ognuno in preda a un Blendung, un accecamento, che li rende incapaci di comprendere l’esistenza dell’Altro.
La tecnica che Canetti utilizzerà in queste opere sarà quella da lui stesso definita come tecnica delle “maschere acustiche” cioè i personaggi sono descritti attraverso una stereotipizzazione linguistica (già dalla sua prima opera, “Nozze”), piena di cliché e parole, sempre uguali, ripetute ossessivamente.
Il romanzo che racchiude quasi tutti i temi canettiani è sicuramente “Auto da fè”, distinto in tre parti che già preannunciano il processo intimo seguito dal protagonista: Una testa senza mondo, Un mondo senza testa, Il mondo nella testa.
Il protagonista, Peter Kien, è un Buchermensch, un sinologo che vive in perfetta armonia nella sua enorme biblioteca con finestre murate, completamente dedicato ai suoi studi.
In una passeggiata mattutina, si apre alla curiosità di un bambino (non a caso, ritengo), lo inviterà alla propria biblioteca e questo sarà il (quasi insignificante) pretesto per accorgersi progressivamente del mondo attorno nonché della sua governante, Therese, che sposerà. Proprio dal matrimonio però nascerà il disastroso rapporto con il mondo, a causa dell’indifferenza e del disprezzo per i libri della moglie.
Sarà cacciato di casa e costretto a vagare per le strade della città. Qui vedrà il mondo (senza testa), si metterà disperatamente alla ricerca di biblioteche, farà conoscenza con Fischerle, un nano misogino che lo trufferà (parzialmente) e infine avrà, grazie al fratello, la possibilità di ritornare alla sua turris eburnea.
Il ripristino dello stato originario è tuttavia impossibile perché ormai il mondo è nella sua testa e in preda al delirio brucerà, con un apocalittico auto da fè, i suoi amati libri: metafora nemmeno tanto velata dell’umana natura, incapace di solitudine ma a “disagio” (in senso freudiano) di fronte l’Altro con cui è costretta suo malgrado a condividere le esperienze e che, in qualche modo, interiorizza nella sua personalità.

A proposito del romanzo, Canetti, quasi contraddittoriamente, affermerà:
I romanzi sono dei cunei che un autore con la penna in mano insinua nella chiusa personalità dei suoi lettori. Quanto più egli saprà calcolare la forza di penetrazione del cuneo e la resistenza che gli verrà opposta, tanto più ampia sarà la spaccatura che rimarrà nella personalità del lettore. I romanzi dovrebbero essere proibiti dalla legge”.

Per fortuna non lo sono ancora…domani chissà o perlomeno se si dovesse arrivare a proibirli per favore mantenete, al contrario, solo quelli che, come diceva Cioran, “frugano nelle ferite, anzi quelli che le provocano”.

(Elias Canetti riposa nel cimitero di Fluntern a Zurigo, nella città che aveva definito il suo “paradiso d’infanzia”, accanto alla tomba di James Joyce)

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5 risposte a Elias Canetti e il potere della massa

  1. carla ha detto:

    Personaggio interessante sotto vari punti di vista!
    sul fatto della pericolosità dei romanzi avrei qualche obiezione, dal momento che la periccolosità fa parte dell’esistenza umana e quindi serve per la crescita individuale.
    Ciao Giuseppe, a presto 🙂

  2. michelespinella ha detto:

    Reblogged this on Scatola di parole and commented:
    Una bellissima presentazione di un grande scrittore e lucido sociologo.

  3. giava (Giovanni Iavarone) ha detto:

    Canetti Elias. Mi è capitato quasi per caso sfogliare le sue “Opere”(Vol. 1:1932-1973. Vol2:1973-1987), nell’edizione dei ‘Classici Bompiani’,1990-93, attratto, probabilmente per intuito, dalla di-mensione europea sua come amico dei vari Broch,Musil,Kraus,Brecht,ecc. E, soprattutto, quando negl’indici dei volumi è saltato ai miei occhi il saggio su Kafka(“L’altro processo.Le lettere di K.a Felice”).
    Tuttavia , ignoro,o non riesco ad afferrare ancora ,perchè ho intrapreso la lettura di Canetti ,che mi sembra fuori dall’iter finora percorso ( io lego fra loro scrittori, poeti, saggisti, artisti , ecc._come dire ?_ ,contigui per approfondire un lato del discorso artistico-creativo-critico,senza troppo dirottare, in quanto poi il pericolo della dispersività è sempre in agguato e mi dispiace deviare per strade troppo troppo diverse e incongrue,che spalancano sì orizzonti non consueti e portano al ‘nuovo’, ma che possono deconcentrare e scompigliare quel che ci piace di più poi!). In pratica Canetti è stato una diversione incalcolata, accadutami dopo aver frequentato a lungo Michel Foucault e la sua cerchia ( Blanchot, Bataille, Derrida, Deleuze, Lacan, Lévi-Strauss, Barthes, Althusser, ecc.), il Nichilismo nietzschiano,e così via, nel momento in cui approfondivo e terminavo i temi di un mio ‘Saggio su Rimbaud ‘(in cantiere da anni), oppure ,allorquando correggevo ‘Che vuol dire?’ ,un mio poema informale, anzi ,multimediatico, molto spregiudicato come stile e linguaggio, forme e contenuti abnormi ( anche se con una lontana attinenza alla ‘maniera futurista’_come erano Lettere in Libertà, ma ‘a stampa’, mentre le mie sono ‘Letterings’_ caratteri o ‘fonts’ come ‘pacchetti’ tipografici letteralmente! _ovvero ,la base della comunicazione (la ‘struttura’ ,verrebbe da dire con un termine degli anni ‘65),trattate in maniera digitale, poi incrementate da suoni in sottofondo, una sorta di metodo sinestetico ; e da qui l’idea di ‘presentazione’ tramite Power Point con sottofondi vari , provati ed inseriti in sincronia ,utilizzando ad es. Musica Informale del Free Jazz: da Parker-Gillespie col BeBop, ad Ayler, Ornette Coleman maestri del free , oppure, ‘più classica’ , ad es. la ‘Marcia alla Turca’ di W.A.Mozart , che fanno da accompagnamento al susseguirsi delle pagine singole ,tra le 124 o 136 slides=diapositive, del provocatorio ’Che vuol dire?’, poi pubblicato su Youtube. Comunque Canetti,malgrado fuori dal mio itinerario di letture, ’il est arrivé’( justement ou non ?), non lo so esattamente, forse ‘doveva capitare’, diciamolo in italiano,e non mi sono sottratto,ma mi ha riportato troppo ‘indietro’,con altri problemi storici, e le esperienze,davvero differenti che ha fatto Canetti ( prima di tutto nella Germania Nazista e poi nella Mittel Europa ),di cui non conosco a fondo tutte le peculiarità. Forse mi ha intrigato meno, nondimeno non è che non sia uno scrittore notevole,credo sinceramente, via ! E comunque mi aspettavo da lui una testimonianza forte del periodo cruciale ‘nazi-fascista’,anche come scrittura, ma che non ho riscontrato o ,almeno, non ho afferrato,addirittura mi pare che egli l’abbia ‘camuffata’ oppure ‘adattata’ alla dua indole.Mi ha lasciato perplesso. Inoltre non digerisce la poesia, anzi piuttosto la disprezza ( si trova questo giudizio ripetuto in più passi delle sue opere qua e là) e questo mi dispiace ,enormemente, ma , forse non lo condanno del tutto, se , realista come fu, ha capito in anticipo_ per quello che sperimentiamo ai ns.giorni presentemente_come la poesia stoni col materialismo bieco di cui le ns.orecchie sono continuamente assordate e conta quasi meno che nulla! I poeti non servono ( anche Platone nelle sue Opere_ mi pare Repubblica _ ribadisce che ‘non servono’, ma solo come ‘fantasia non richiesta’ nella‘gestione politica’ tuttavia di uno Stato!) e sono quindi posti al bando , la loro merce non è vendibile difatti. Canetti assentiva ( ma non ha citato Platone!). Ma in fondo ‘era poeta’ _ si sentiva tale _ in un’altra maniera e lo enunciò nel suo stile.
    “Voglio solo resistere a tutto quanto contemporaneamente” Elias Canetti , da “Il cuore segreto dell’orologio” ( 1980 ) , mi pare una delle direttive del suo pensiero ,quasi un’epigrafe alla sua opera! Si sentì assediato ,soprattutto nella giovinezza, nelle varie città della Mittel Europa in cui girovagò alla ricerca di una stabilità esteriore-interiore che la conquistò con abnegazione inusitata ma fu fortunato (se pensiamo al confronto con Walter Benjamin_che non conobbe ,sembra_ che vagabondo come lui non riuscì a trovare requie e,anzi, per uscire dall’assedio, nell’atto di prendere il volo verso la libertà trovò un destino crudele che lo condannò ad essere vittima illustre di quell’Europa contraddittoria) se la suddetta Europa pure riuscì a dipanare pazientemente ,a suo modo, negli scritti e nelle opere lasciateci. Non aveva fiducia nella poesia,ho detto,giustamente,in un’epoca in cui intuiva lo sfacelo e la ‘lentezza o lontananza della meta’ delle sue masse e l’impossibilità fattuale di ‘masse di rovesciamento’ che occorrerebbero invece per tutti i tipi di poteri in gioco che condizionano l’avvenire dell’attuale generazione di giovani, che invece quel Walter Benjamin _ che lui non ebbe in sorte di conoscere_ auspicò e si battè per aprirne le strade durante tutta la sua breve vita (morì alla metà degli anni concessi a Canetti), sostenendo appunto la poesia ( mirabili anche per lui gli scritti consacrati a Kaffka, o a Baudelaire e a Parigi in special modo ).

  4. Giovanni Iavarone (giava) ha detto:

    Scusatemi,ma questo Blog è bloccato,non funziona più o è obsoleto ? Grazie se vi fate vivi.

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