Più di un anno e mezzo fa scrissi un breve commento a un articolo su un blog che oggi, con grande mio rammarico, non esiste più.
Stasera per puro caso ho ritrovato una bozza scritta a suo tempo e, visto che in buona parte rispecchia il mio pensiero attuale, ho pensato di pubblicarlo come lettura critica, con alcune modifiche stilistiche rispetto all’originale nel tentativo di rendere più chiaro possibile il concetto.
Ho sempre pensato all’ assioma come a una sconfitta, una rinuncia.
Se qualcosa deve essere considerato inconfutabilmente vero (“per incapacità di rettificazione”) il rischio è di attribuire un carattere di “verità” ad una o più premesse (per “nozioni comuni” ovvero per verità note a tutti) sviluppando conseguenze su intenzioni già stabilite a priori e all’opposto ammettere la “verità” o la “non verità” di tutto il resto, con un astratto ragionamento logico (un “gioco linguistico”?) ovvero con un processo mediato.
Il rischio è duplice: da un lato dare un alito di verità indubitabile (senza giustificazione se non il “buon senso”) a una parte del discorso, le premesse, non consente di metterle in discussione, pur viziate dalle possibili “finalità” – anche inconsce – delle stesse; dall’altro la ineliminabile teorica potenzialità di un’antitesi rende impossibile “verificare una verità” (quasi un paradosso) nella parte deduttiva.
Lo spezzettamento in “frammenti e segmenti minuti” della ragione è a sua volta una rinuncia alla rinuncia all’assioma – pensiero affascinante – una sorta di sintesi circolare hegeliana ma, come tale, non segue ma precede la dialettica ovvero attribuisce alla ragione un posto centrale.
In un breve racconto che ho letto oggi (dicembre 2011), Finzioni di Jorge Luis Borges, il protagonista, Ireneo Funes, aveva una memoria così straordinaria che alla fine dovette ritirarsi dal mondo perché tutti i dettagli che riusciva a ricordare gli rendevano la realtà insostenibile. Ad un certo punto scrive:
“Aveva imparato senza fatica l’inglese, il francese, il portoghese, il latino. Sospetto, tuttavia, che non fosse molto capace di pensare”.
Ebbene, il rischio che si corre è proprio questo: i dettagli possono alla fine impedirci di pensare e occorrerà l’oblio per poter percorrere un nuovo “cammino” logico.
Cito infine Ralph Waldo Emerson, autore che, non a caso, ispirò profondamente Nietzsche:
“La sola cosa che noi ricerchiamo con insaziabile desiderio è dimenticare noi stessi, perdere la nostra sempiterna memoria e fare qualcosa senza sapere come o perché: in breve, tracciare un nuovo circolo”.