Le reti di Montesquieu

Montesquieu è conosciuto più che altro per “Lo spirito delle leggi” (“L’esprit des lois” condannato dai gesuiti e messo all’Indice) o per le “Lettere Persiane” e per il principio di separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, fondamento teorico alla base delle democrazie rappresentative attuali.
Quando ho iniziato quindi a leggere i suoi “Pensieri”, non credevo di aggiungere altro a quanto già conoscevo su questo autore.
Invece scopro un grande classico del libero pensiero, meritevole, come tutti i classici, di approfondimento e di lettura critica.

 In particolare molto interessante è il suo concetto di libertà, che credo non sia in nessun altro autore così articolato e dinamico come in Montesquieu.
La libertà, sostiene, è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono.
Una libertà dunque non aperta a tutto, ma concepita come una sorta di movimento entro il recinto della legge.
Le leggi tuttavia devono regolare solo gli aspetti importanti e utili della vita sociale, altrimenti rischiano di essere ingiuste.
“Una cosa è giusta non perché è legge, ma deve essere legge perché giusta”.
Emblematica la metafora utilizzata:
“Io paragonerei piuttosto le buone leggi a quelle grandi reti in cui i pesci sono prigionieri, ma si credono liberi, e le cattive a quelle reti in cui stanno tanto stretti, che immediatamente comprendono di essere prigionieri”.
Sembra quindi che il destino dell’uomo non sia la libertà assoluta, essendo quest’ultima avvolta comunque da una rete, al di fuori della quale non c’è libertà ma caos.
L’importante però è che questa rete sia la più larga possibile, permettendo all’individuo di muoversi più o meno agevolmente.
Un’idea che ha anche il suo limite- la libertà concepita più per il cittadino che per l’individuo- ma tuttavia affascinante.
Ecco perché il rapporto tra i diversi poteri dello Stato è essenziale: esso permette minore o maggiore libertà, ed è per questo la preoccupazione maggiore per Montesquieu.
Tale anche da non poter essere tollerante dell’intolleranza:
“Non c’e male peggiore, e che abbia conseguenze più funeste, della tolleranza nei confronti della tirannide, che le consente di durare indefinitamente”.
E tale da evitare dispotismi e repressioni non necessari:
“Il timore è un una leva da usare con prudenza: non si deve mai fare una legge severa quando ne basta una più mite”.
Da un lato, quindi, da’ una grande importanza alla legge, cornice necessaria all’interno della quale può esprimersi la libertà e dall’altro si preoccupa di limitare il più possibile l’azione  della stessa legge, affinchè sia più giusta possibile, meno coercitiva e meno dispotica possibile.

Da citare alcuni acuti aforismi sulle letture:
“ho preso la decisione di leggere solo buoni libri: chi legge libri senza valore è simile a un uomo che passa la vita in cattive compagnie”
“Leggendo i libri, vi si trovano gli uomini migliori di quanto non siano. […] Insomma, gli autori sono personaggi di teatro”.
“Lo studio è stato per me il rimedio sovrano contro i dispiaceri della vita, giacché non ho mai avuto un dolore tale che non mi sia passato con un’ora di lettura”.

E infine da illuminista, quasi ante litteram, Charles-Louis de Secondat (il vero nome di Montesquieu) ci regala un’ultima massima che si adatta molto più propriamente a tutti i liberi pensatori:
Ogni essere umano è propriamente un susseguirsi d’idee che non si vorrebbe mai interrompere“.

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4 risposte a Le reti di Montesquieu

  1. carla ha detto:

    lo sto leggendo in montagna….lo trovo voluttuoso 🙂
    ciao carissimo, spero di risentirti presto
    C.

    • Giuseppe Savarino ha detto:

      Ottima lettura Carla.
      Citando lo stesso Montesquieu al contrario direi che “chi legge libri di valore è simile a un uomo che passa la vita in buone compagnie”.
      A presto

      • carla ha detto:

        in effetti per voluttuoso intendevo intellettualmente 🙂
        ti ho linkato anche questo indirizzo perchè è veramente interessante condividere le letture con te.
        ciao!

      • Giuseppe Savarino ha detto:

        Voluttà implica il piacere, etimologicamente.
        Di qualsiasi tipo, quindi l’uso è più che appropriato: Nietzsche direbbe voluttà dionisiaca.
        Ti ringrazio mille per il link, appena possibile ricambio il favore.
        Trovo il tuo blog altrettanto interessante.
        Saluti e buona voluttà, dunque.

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