Bakunin e l’Italia di oggi

Bakunin_cittaIn questo periodo l’Italia si trova in una condizione triste e pericolosa. Uno Stato disastroso e disastrato che si mantiene a stento solo schiacciando il Paese sotto il peso delle imposte. Un sistema fiscale vessatorio, inefficace e una gestione personale e piuttosto disinvolta del potere, una diffusa “questione morale”; lo strapotere della burocrazia e della consorteria che giudica la casta statale per eccellenza, una vasta congrega di persone “integerrime” dedite a predare con sistematicità la povera Italia, la presenza invasiva della Chiesa.

Questo non è un mio giudizio né di qualche giornalista, politico o sociologo di oggi ma risale, pensate un po’, a fine Ottocento, poco dopo l’Unità d’Italia.
E’ il ritratto del nostro paese (ricomposto da alcuni scritti sparsi)  di Michail Bakunin, che ebbe modo di conoscere l’Italia lungo un soggiorno tra il 1864 e il 1867.

Le parole sembrano prese dalla cronaca politica contemporanea, anche linguisticamente:  oppressione fiscale, casta, moralità pubblica e “praticismo politico” (oggi trasformismo).

Insomma, verrebbe da chiedersi: cosa è cambiato nella storia italiana dopo centocinquanta anni?

La domanda – e ancora di più la risposta – non è pura retorica.
E’ sicuramente cambiato molto: gli stessi termini “povertà”, “oppressione fiscale”, “burocrazia”, hanno assunto significati che nell’Ottocento erano impensabili.
Con le dovute proporzioni però rispondo che, almeno nell’analisi generale, non è cambiato quasi nulla (“Nihil sub sole novum”).

Perfino l’amaro giudizio, sempre di Bakunin – “la miseria più atroce pur colpendo milioni di proletari non è ancora una motivazione sufficiente per far scoppiare la rivoluzione” – mi sembra ancora attuale.

Un libro appena uscito e curato da Lorenzo Pezzica (Viaggio in Italia, Eleuthera, Milano, pagg.144), recensito sull’inserto dominicale de Il Sole 24 Ore del 05 maggio scorso, ci permette – come giustamente fa notare l’autore dell’articolo intitolato “In balìa del ‘praticismo politico’, David Bidussa – di scoprire un Bakunin non solo rivoluzionario ma anche fine osservatore sociale.

Con amarezza e sofferenza, constatiamo l’altrettanto cruda attualità di ciò che scrisse Bakunin in una lettera che inviò da Napoli a Ludmilla Assing:

“Ah mia cara che triste cosa è questa democrazia italiana! Se si radunano tutte le sue risorse intellettuali, forse si riuscirà a partorire una sola idea!”

Il mio timore aggiuntivo è che già trovarne una, di idea, potrebbe essere considerato, oggi, troppo ottimistico.

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